Sto in 29 + 3

“Sto
addossato a un tumulo
di fieno bronzato…..”
è il magnifico incipit della Trasfigurazione composta da Ungaretti nel ’17.
Condizione di stanchezza sublime, del rifiuto di modificare, del piacere inconfessabile di essere parte di quel flusso continuo che sostiene e dà sostanza stessa all’essere qui oggi tra le cose e gli uomini.
“Sto” con tutto il suo portato di verbo assolutizzato è il titolo ideale per questa esposizione di quadri di Ludovico Maria Fusco architetto e pittore.
Indifferente che lo sguardo si alzi verso un punto stellare lontano nella oscurità o che scruti i germogli di residui di amido su lastre di cemento, riappare la condizione geometrica del cerchio perfetto ed è una necessità.
Se untuosa,cupa,cavata, rumorosa e densa è la forma sensibile della città mentre il sole ne lucida i blocchi di basalto ed ossida i tufi corrosi delle sue mura, è la luna il magico cerchio a cui Ludovico si appella e con cui riafferma la sua geo-metria mentale ed emotiva.
Forse c’è qualcosa di vero nell’affermazione “ Dio è un cerchio il cui centro è dapertutto ma la cui circonferenza è in nessun luogo.”
Perfezione, ciclicità, instabilità, movimento sono i caratteri evidenti che segnano lo stupore e la diffidenza di chi si accosti a questa figura geometrica di base.
Assolutezza formale nella cultura orientale, in quella occidentale la figura circolare è il luogo in cui poter iscrivere la densità di una storia. Basta pensare al movimento rotante e spiraliforme determinato e determinante la struttura del Tondo Doni di Michelangelo che, per la ricchezza di sequenze in profondità, rimanda ad una insolita dimensione sferica del progetto pittorico.
Certamente il cerchio isola, trattiene, divide il suo interno dal suo esterno così che ogni interferenza appare come aggressione al suo fragile equilibrio ma nel contempo ne determina la tensione, pone in essere un’azione “perturbante” in grado di innescare nuovi racconti in cui trova giustificazione anche il ricorso ad elementi figurativi riconoscibili.
Tale è il filo del racconto che Ludovico Maria Fusco svolge nell’intero e complesso apparato di opere , 29 pannelli, ed un trittico.
I pannelli sembrano rispondere ad un imperativo, che non è solo tecnico, ed è quello di far “quadrare il cerchio” .
Strategia che consente all’artista di poter definire il ruolo fondamentale della “zona” intervallo tra i margini del quadro ed i margini della figura narrante che è il cerchio.
Così nei confronti della figura primaria il racconto cromatico, a volte estremamente raffinato, che si svolge nella “zona” diviene di volta in volta: semplice fondale – tracimazione di quanto è stato “scritto” nel cerchio – intersezione figurativa analogica o estranea, mentre, in taluni casi, prende il sopravvento delegando la figura narrante ad un ruolo secondario ma complementare che si spinge sino alla totale mutazione morfologica per gemmazione di una miriade di figure circolari.
Sperimentazione intorno ad uno dei fondamentali archetipi dell’architettura e che Ludovico Maria Fusco rimette in gioco con consapevolezza, è infatti noto come il cerchio circoscritto alla croce sia quello che tra i geroglifici egiziani indicava la città, la forma del cosmo e della terra, la loro recinzione ideale. Dividere, dunque, e fare spazio nell’accumulo informe e rumoroso come atto fondamentale per riconquistare un territorio del silenzio, un luogo sognato della sospensione, quello che possa consentire lo sviluppo della vita individuale ed associata, lo sviluppo di una cultura, la visione di una civiltà. Ad una azione ben determinata che è quella del tracciare il segno del cerchio con tutto il portato architettonico del costruttore di recinti corrisponde la tensione derivante dalla consapevolezza della separazione dalla Natura Naturalis, che questo atto comporta, e con essa della perdita di quella mistica continuità che lega al tutto. La tensione del doppio spinge l’architetto-artista a recuperare sia in senso letterario che simbolico la distrazione dalla bellezza. E’ un attimo , affermava W. Samerset Maugham,” …poiché questo che ha davanti a sé non tornerà a vederlo mai più, poiché il momento è transitorio, ma il ricordo perdurerà nel suo cuore”.
Appare allora significativo che a fronte delle 29 tavole esposte nella mostra, il ruolo di condensatore dell’intero ciclo sia affidato ad un trittico di 3 metri per 2, in cui il pannello centrale polarizza l’attenzione per aver ricondotto la ricerca alla assolutezza della forma e del non colore elaborando con raffinatezza il tema del doppio. Un cerchio laminato d’oro appare slittare ed affrancarsi dal suo complemento di colore rosso, quest’ultimo elegantemente tagliato nella sua parte inferiore, e si muove sul doppio fondo dove la tensione è avvertibile in quella sottile e difficilissima linea che divide uno stato cromatico dall’altro e che era la grande ossessione di Rothko.
L’empatia che si determina per assenza di suggestioni accattivanti, quelle in cui il “come se” tende a rendere riconoscibili, nel nuovo, le forme della consuetudine, è un dato importante nella ricerca che Ludovico ha intrapreso con rigore e capacità tecnica già da diversi anni ed apre a sviluppi ulteriori all’ interno di quella “ossessione” che caratterizza la migliore produzione d’arte e di cui le 29 +3 variazioni su tema che compongono il racconto unitario di questa esposizione è già traccia significativa .

 

Roberto Serino